Relatore: Relatori: Ottavio di Stefano, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Brescia; Alberto Michele Giannini, direttore S.C. di anestesia e rianimazione pediatrica ospedale dei bambini ASST Spedali Civili di Brescia e
«Tema centrale – esordisce il dott. Claudio Cuccia – è comprendere che cosa significa una vita umana degna di essere vissuta. La decisione dei medici va ben al di là dell’aspetto puramente tecnico. La TAVI, impianto di valvola aortica per via transcatetere, è una procedura che, per la minore invasività, è adatta a soggetti anziani, a cui prima si doveva dire ‘non c’è più nulla da fare’. Oggi possiamo curarli». Resta necessario, però, rifiutare il riduzionismo medico e valutare caso per caso, non solamente dal punto di vista scientifico, ma anche umano. Abbiamo il diritto di avere una vita umana degna di essere vissuta, ma questo può diventare un dovere? Ci sono pazienti che desiderano essere sottoposti a interventi anche complessi per migliorare la loro aspettativa e qualità di vita, altri che, semplicemente, “non se la sentono”. Il dovere del medico è cercare di convincere il paziente su quale scelta potrebbe essere, dal punto di vista clinico, più vantaggiosa, ma senza mai sostituirsi alla libertà della persona che può rifiutare questi trattamenti. È fondamentale la domanda che il bioeticista Reich pone ai medici: «Perché ho accettato di prendermi cura di un uomo che soffre?».
Le pensatrici del Novecento irrompono nel panorama politico e filosofico, fondato su basi monolitiche, con un pensiero personale, distaccato dai grandi sistemi e desideroso di cogliere il valore delle relazioni. Hanna Arendt segue il processo di Eichmann. Edith Stein, ispirata dalla fenomenologia di Husserl, elabora un nuovo concetto di empatia. Simon Weil vede nella corrispondenza tra esseri umani la base di ogni solidarietà e speranza.
Relatore: Laura Palazzani, professore ordinario di Filosofia del Diritto, Università di Roma LUMSA
La tematica affrontata dalla prof.ssa Laura Palazzani verte sul rapporto tra legislazione ed etica. La bioetica può esimersi dalla relazione con il diritto? L’etica può calarsi nella realtà senza confrontarsi con la legislazione e con la politica? Tutto ciò che è tecnologicamente possibile è anche eticamente lecito?
Relatore: Fabrizio Turoldo, professore ordinario di Filosofia morale, Università Ca’ Foscari di Venezia
Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, le nuove tecniche di rianimazione cardiopolmonare hanno portato con sé grandi speranze, ma anche la possibilità di tenere in vita, spesso anche per un tempo molto prolungato, persone giunte alla fase terminale di agonia. Per questo i medici, per la prima volta, iniziarono a riflettere sulla differenza tra allungare la vita e prolungare l’agonia. Qual è il confine? Giunti a quel punto, non era più sufficiente affidarsi unicamente al principio di beneficenza, ma diventava fondamentale far riferimento anche al principio di non maleficenza. I medici scoprirono che non sempre intervenire significava fare il bene del paziente e, in certi casi, iniziarono a scrivere la sigla DNR, Do Not Resuscitate order, ordine di non rianimare, su foglietti di carta da inserire nelle cartelle cliniche dei malati terminali, in matita, affinché fosse prontamente cancellata. Il timore era quello di venire potenzialmente imputati di omissione di soccorso. Il diritto non riusciva a stare al passo delle evoluzioni della tecnica, mentre filosofia e riflessione etica si arrovellavano per tentare una sintesi tra l’universalità dei principi e l’unicità delle situazioni particolari.