2017 - 2018 - UMANO E POST-UMANO
UMANO E POST-UMANO
Dopo il percorso compiuto nei tre anni precedenti dedicati ad ascoltare i diversi saperi sull’umano e a cogliere le variazioni del desiderio in rapporto ai diritti e alla legge, sembra utile prestare attenzione a due fattori che stanno modellando l’umano: l’economia e la tecnica; da considerare nella loro interconnessione. Non si tratta di considerare i saperi, bensì le pratiche che incidono sul rimodellamento dell’autocomprensione di sé da parte delle persone e sulla ‘progettazione’ dell’umano. Pare infatti che si stia assistendo a un superamento (nel senso di Aufhebung) della concezione moderna: dall’homo faber si tende a passare all’homo factus, con la conseguenza che il soggetto non appare più il protagonista, bensì l’esito, il prodotto di forze (economia e tecnica) che mentre offrono nuove possibilità di attuazione del soggetto, lo soggiogano. Pare di assistere al tramonto della libertà provocato dal suo stesso prodotto. Viene alla mente quando Max Horkheimer rilevava in La nostalgia del totalmente altro appunto a proposito della libertà ormai soggiogata.
Su questo sfondo non c’è alcun sapere che possa pretendere di dire che cosa dell’umano vada salvaguardato, poiché non c’è nessun sapere che sia in grado di affermare cosa sia l’umano: se questo è ‘prodotto’, il sapere l’umano dovrà restare sempre aperto, senza alcun confine prefigurabile. Infatti il progresso tecnologico, che è reso possibile da scelte economiche finalizzate a volte ad accrescere le possibilità finanziarie di alcuni gruppi, porta in sé l’esigenza di raggiungere sempre nuove possibilità. L’assunzione del modello evolutivo che sta sullo sfondo del progresso comporta la convinzione che l’umano attualmente conosciuto è solo una tappa del processo evolutivo; sicché l’umano sta davanti a noi; è quindi in fieri e alla sua costruzione contribuiscono molteplici fattori, che a parere di qualcuno stanno già inscritti nella biologia come apparirebbe dal processo evolutivo. In tal senso economia e tecnica sarebbero fattori che gli umani si sono dati per portare a compimento in maniera asintotica il processo evolutivo.
Sembra pertanto opportuno lasciarsi interrogare/provocare da questi due fattori sia per verificare se sia ancora adeguato il metodo di accostamento all’umano che la tradizione biblico-cristiana ci ha trasmesso sia per offrire un contributo critico alla pretesa – non sempre confessata – che tali fattori manifestano in ordine alla costruzione dell’umano.
Si tratterebbe di ascoltare cultori di economia e tecnica per capire quali modelli di umano siano presupposti e siano immaginati per il futuro: quasi una ricerca dei presupposti, dei processi e dei fini.
Procedendo con ordine e distinguendo metodicamente economia e tecnica, pur nella consapevolezza che si intrecciano, si potrebbe partire dall’economia.
La questione procede da alcune acquisizioni di fondo.
- Anzitutto dal rapporto tra ecologia ed economia. L’ecologia in senso originario è il modo in cui il sistema biologico si autoamministra (ecosistema); solo in una fase successiva interviene l’uomo (homo sapiens) che cerca di ‘governare’ i processi nativi del sistema biologico. L’economia è il modo in cui si cerca di organizzare il milieu in cui l’uomo vive cercando un equilibrio, che pure in natura si dà, tra forte e debole. In tal senso l’economia assume un significato più ampio rispetto alla concezione vulgata, che orienta alla gestione finanziaria e produttiva delle risorse, tendendo a scartare ciò che appare improduttivo. Ne va non solo dell’umano ma pure dell’habitat nel quale l’umano si costruisce.
- Pare che il modello macroeconomico vigente giochi anzitutto sul modello dell’utilità attesa: si pensa a un soggetto individuale che opera e prende decisioni a partire dal vantaggio massimo che può ottenere a titolo individuale o di gruppo di appartenenza. La macroeconomia si sviluppa oggi attorno all’idea di essere umano ‘egoista’ orientato all’opportunità personale e alla risposta al bisogno e al beneficio personale: massimizzare l’utilità personale è il principio chiave. È significativo che rispetto a questo modello si stiano affacciando altri modelli. Si pensi, in particolare, al modello studiato dallo psicologo ed economista israeliano Daniel Kahneman, nobel per l’economia 2002, denominato “teoria della decisione” o comportamentale. La finanza comportamentale gioca non sull’utilità attesa ma sull’influsso delle credenze, delle esperienze personali, dei contesti e delle informazioni complessive e quindi orienta l’interpretazione dell’economia intorno al principio di rappresentatività, disponibilità e correlazione sociale. Modello che appare più vicino alle prospettive antropologiche con cui opera la tradizione biblico- cristiana. In questa linea si può anche considerare quanto la filosofa Martha Nussbaum, in dialogo con Amartya Sen (Nobel per l'economia nel 1998), invita a pensare mettendo a tema un "Approccio delle capacità", anche in reazione al dominio quasi incontrastato della logica del PIL.
Quanto alla tecnica
- La tecnica, che provoca a pensare all’umano anche come “post-umano”, chiede di mettere in circolo i saperi, quelli che riguardano le scienze e la tecnologia da una parte, quelli che riguardano l’economia, ma anche quelli che costringono a ripensare il soggetto. Se la tecnica è in grado di rimodellare il funzionamento dei corpi, appare ineludibile la questione se si possa mantenere la nozione di soggetto che la tradizione filosofico-teologica ci ha lasciato in eredità. Non è difficile vedere che nella questione tecnica ed economia si intrecciano: chi e in vista di che cosa determina l’uso della tecnica? Quali sono i soggetti che ne orientano i processi e i progressi? Resta ancora il soggetto come è stato pensato?
Appare quindi cogente la domanda: chi è il soggetto? Chi definisce i confini e le sfere di influenza dell’umano?
Dobbiamo ricordare che sul tema “identità e soggetto” abbiamo già fatto dei sondaggi. Ma sembra opportuno riprenderlo con affondi nuovi. Pare che il confronto vada condotto sul rapporto tra “persona”, eredità tipica della nostra tradizione – rimessa in auge dal pensiero personalista del ‘900 – e “individuo”, che sembra essere al centro dell’attenzione di economia e tecnica, che solo in seconda istanza considerano la rete costitutiva dei rapporti umani, con le conseguenze che ne derivano: prevalenza di potere, potenza, operatività e proprietà.
Si è costretti a ripensare le categorie con cui abbiamo operato e quindi a riconsiderare che cosa abbiamo ritenuto non umano a partire dalla normatività attribuita a certe categorie dell’umano, e che cosa abbiamo escluso dall’umano. Quale rapporto con gli animali, con la terra, con le macchine? Da dove derivano le discriminazioni, in primis quelle di genere, ma poi anche tutti i processi di esclusione? Quest’ultimo interrogativo nasce non tanto da un desiderio di rivendicazione, bensì dalla consapevolezza che dietro ogni discriminazione sta sempre un errore di pensiero: gli squilibri possono essere l’effetto di una certa stilizzazione dell’umano.
Gli ambiti di riflessione sono numerosi: dalla biologia, all’ecologia, alla sociologia, alla politica, avendo sullo sfondo la questione etica, che è trasversale a tutti questi ambiti. La questione da esplorare potrebbe essere formulata in questo modo: in quale forma economia e tecnica stanno orientando il rimodellamento dell’umano, della vita sociale, del corpo, delle relazioni affettive, delle scelte politiche.