Tavola rotonda conclusiva sullo “sviluppo tecnologico e futuro dell’umano”
Tavola rotonda conclusiva sullo “sviluppo tecnologico e futuro dell’umano” con Arnaldo Benini (neurobiologo), Emanuele Severino (filosofo), Giacomo Canobbio (teologo).
Mercoledì 30 maggio alle ore 18:00, presso l'aula magna dell’Università Cattolica in Via Trieste 17 si conclude il ciclo di conferenze promosse dall'Accademia cattolica per l'anno 2017-2018 - Umano e Post-Umano
La tecnica ha inscritta in sé la tensione verso il futuro. Essa, pur essendo ritenuta via mediante la quale gli esseri umani cercano di dominare il mondo in cui sono posti, può diventare distruttiva del medesimo mondo. Ciò accade quando coloro che la sviluppano si soffermano a considerarne la potenza, quasi pura espressione della volontà di potenza di chi la produce e se ne serve. La tecnica non va sicuramente demonizzata: grazie a essa la vita umana di molte popolazioni è migliorata e si è prolungata. Questa constatazione ha creato notevole fiducia nella capacità della tecnica di difendere gli esseri umani dai limiti, compreso il limite estremo della morte. Sintomatiche al riguardo alcune pratiche finalizzate a prolungare la vita umana fino a cinquemila anni. Fondandosi su questo orientamento si arriva a parlare di “società postmortale”. Esso denota il bisogno/desiderio umano di sconfiggere la morte, che costituisce la dichiarazione più evidente del “limite” della tecnica. Eppure, anche mettendo in conto detto limite, non viene meno il desiderio degli esseri umani di sconfiggere la morte. A fronte di questo desiderio ci si può domandare se si debba accettare con rassegnazione la mortalità comune a tutti i viventi, oppure se per gli esseri umani non si apra una possibilità non affidabile alla tecnica, bensì alla Sorgente della vita. Le religioni, in particolare quella ebraico-cristiana, hanno questa proposta da offrire all’umanità. In questo modo colgono nel desiderio di vincere la morte la traccia di una destinazione, che mette in evidenza la singolarità degli esseri umani rispetto a tutti gli altri viventi. In tal senso, il futuro inscritto nella tecnica può essere letto come antidoto alla rassegnazione di fronte alla morte, purché la stessa tecnica non diventi strumento di morte, contraddicendo se stessa.
di Giacomo Canobbio
Sviluppo tecnologico e futuro dell'umano
di Arnaldo Benini
Il futuro dell'uomo dipende da ciò che lo fa es-sere ciò che è: dalla sua natura, dal suo cer-vello. L'incubo che tecnica e tecnologia possano peggiorare il futuro è incomprensibile, se si pensa all'infamia e alla crudeltà della storia da sempre, ben prima della scienza e della tec-nica. Papa Francesco, nell'omelia del 16 maggio 2018 in Piazza San Pietro, ha deplorato che "La violenza richiama la violenza. Le guerre si succedono alle guerre. Non impariamo mai. Che Dio ci aiuti." Non impariamo mai perché il male è parte fondamentale della nostra natura, e fino ad ora Dio non ci ha aiutato a debellarlo. Questa non è una speculazione teorica, ma una realistica considerazione della storia e del com-portamento. L'Olocausto non è stata la maggiore infamia dell'umanità, che ne ha commesso di ben peggiori. Esso si imprime nella coscienza perché è avvenuto al centro dell'Europa cristiana ad opera di cristiani, dopo 2000 anni di Cristia-nesimo. Né cultura, né fedi religiose, né filo-sofie morali, hanno reso stabili i valori umani. Perché il pensiero, il senso morale, che sen-tiamo in noi, non fermano il male? Perché il cervello può creare e perseguire il male senza remore? Perché l'uomo è il solo essere vivente che coltiva la crudeltà, cioè la gioia alla sof-ferenza degli altri?
La sostanza dell'umanità è una contrapposizione fra la tendenza e la volontà al bene, all'empa-tia, all'altruismo - senza le quali l'umanità sarebbe scomparsa per autodistruzione - e il male, che la razionalità e il senso morale non riescono a fermare. Il futuro dell'uomo sarà come il passato, perché la struttura del cer-vello che ne determina il comportamento non cambia. Cambiano le condizioni di vita grazie al cosiddetto sviluppo tecnologico (che per molti aspetti ha enormemente migliorato la nostra vi-ta), ma ciò non è la sostanza dell'esistenza. Ora viaggiamo in aerei supersonici e non in di-ligenze, e ci massacriamo con armi complicate e non a bastonate, ma la natura umana, nel bene e nel male, è invariata.
Come penetrare il mistero dell'unde malum, come lo chiama il filosofo Zygmunt Bauman? Sconcertati per l'infamia dell'uomo non sono solo i filosofi mo-rali, che vi riflettono sopra da secoli senza venirne a capo. Basta un'occhiata ad un giornale per farci provare sgomento per ciò di cui l'uomo é capace, non solo nelle guerre, ma nei rapporti personali. La spie-gazione della tragica antinomia umana viene dalla bio-logia dell'evoluzione. La capacità di fare il male, dovuta a caratteristiche evolutive del cervello comuni a parte della natura vivente, ha portato la specie umana a prevalere sulle altre, tranne che su virus e batteri. La capacità di praticare il male come compor-tamento indispensabile per sopravvivere si è sele-zionata nei meccanismi del cervello, e per questo fa parte della banalità dell'esistenza: sfugge spesso al controllo della razionalità e del senso morale e non é estirpabile una volta per sempre. "La nostra sola spe-ranza non è di eliminare il male definitivamente, ma tentare di comprenderlo, contenerlo, dominarlo", ha scritto, rassegnato all'evidenza, il filosofo Tzvetan Todorov. Il futuro dell'umano è identico al passato: sarà dominato non dalle perfidie della scienza e della tecnologia, ma dall'impossibilità del cervello umano di controllare gli organi che ci hanno fatto e ci fanno prevalere nella lotta della vita.
Sviluppo tecnologico e futuro dell'umano
di Emanuele Severino
Inevitabile interrogarsi sul significano delle parole che formano il titolo proposto dall’Accademia Cattolica. Ma si scorge che al loro fondo sta il senso che una volta per tutte è stato ad esse conferito dall’antico pensiero greco? Anche la tecno-scienza del nostro tempo cresce su quel senso, sebbene essa, ormai, non intenda più essere un sapere incontrovertibile, ma ha come scopo la potenza e la sua crescita indefinita.
D’altra parte è possibile parlare di qualcosa come “storia dell’uomo” solo all’interno della manifestazione del mondo, che tuttavia non è un sapere innegabile, ma è fede. Tale manifestazione é insieme la forma della mente all’interno della quale viene elaborata la comprensione scientifica e oggi anche filosofica della mente, concepita come cosa particolare.
All’interno di questa fede la destinazione della tecnica al dominio è una tendenza, che però ha un carattere essenzialmente più radicale delle “tendenze” di tipo statistico- -probabilistico: sia per come si comporta il rapporto mezzo-fine quando forze tra loro contrastanti si servono dello stesso tipo di mezzo; sia per l’inevitabilità che la tecno- -scienza, per prevalere sulle forze che intendono servirsene, finisca col dare ascolto al tratto essenziale (anche se prevalentemente nascosto) del pensiero filosofico del nostro tempo, che mostra l’impossibilità di ogni Limite alla volontà di potenza.
Tuttavia merita una particolare, decisiva, attenzione un tema che non può non sembrare un paradosso del tutto gratuito, una inutile perdita di tempo. Questo tema può esser così enunciato: la sapienza greca e, sulla sua base, ormai l’intero Pianeta, non si rende e non può rendersi conto che la tecnica e il suo sviluppo non sono realtà osservabili, sperimentabili: non sono contenuti che appaiono. Non appaiono nemmeno nella fede in cui consiste la manifestazione del mondo alla quale si è prima accennato.
La produzione tecnica, e in generale la volontà di potenza, è cioè una teoria. Che è indispensabile alla volontà di vivere, ma che non può vantare la propria osservabilità, sperimentabilità, immediata evidenza. (Ma si vogliono proprio voltare le spalle alla possibilità che l’uomo sia qualcosa di essenzialmente più alto della sua “vita”?).
D’altra parte, proprio perché la comprensione greca della tecnica avvolge la storia dell’Occidente e ormai del Pianeta, l’uomo è inteso ovunque - anche nelle prospettive più “mistiche” e “umanistiche” - come essere tecnico. E’ così inteso anche quando non ci si rende conto di quel che si pensa. Ma è così inteso anche perché nemmeno l’esistenza dell’”umano” è qualcosa di sperimentato e di evidente. Essa è un interpretato, ossia è risultato di una costruzione ermeneutica, di una tecnologia. Già come essere “naturale” l’uomo è un essere tecnico. Che oltre alla produzione “naturale” sia perseguibile una produzione tecnica dell’umano non può essere cioè escluso in linea di principio.
Tutto quanto si è detto sin qui riguarda la “storia dell’uomo” - che nella sua forma più radicale è storia “greca”. Ma è a questo punto che si farebbero avanti i pensieri decisivi. Si dovrebbe infatti incominciare a rendersi conto che, come la tecnica è destinata a portare al tramonto la tradizione dell’Occidente, così al tramonto essa è a sua volta destinata. Già sulla terra la tecnica non è l’ultima parola. Ma la “vita” non è l’unico futuro diverso dalla morte. L’essenza autentica dell’uomo si manifesta già prima del comparire della terra, e continua a manifestarsi anche dopo che la terra stessa è giunta al proprio compimento. Un compimento in cui la terra è conservata, così come la verità, negando l’errore, lo conserva nel proprio sguardo.
Caratteristiche dell'evento
Inizio evento | Mercoledì 30 Maggio 2018 | 18:00 |
Luogo | Aula Magna Università Cattolica |