La vittoria della morte: la forza performativa dell’arte
Relatore Valerio Terraroli, professore ordinario di Museologia e Critica Artistica e del Restauro presso l’Università di Verona
Abbiamo allontanato la morte dai nostri discorsi, ospedalizzata, ostracizzata dalle nostre case e questo ci ha portati a una minore consapevolezza della fine, intesa come qualcosa di impossibile o di catastrofico. Valerio Terraroli, professore ordinario di Museologia e Critica Artistica e del Restauro presso l’Università di Verona, parte in medias res, rilevando l’enorme differenza che contraddistingue il nostro rapporto con la morte e quello che avevano gli Antichi. Il tema della morte viene di frequente intrecciato con il tema della vanità. Nell’opera di Hieronymus Wierix, incisore e disegnatore fiammingo, il pavone che si specchia rappresenta la vanità umana, mentre lo scheletro, pulito e senza tracce di decomposizione, regge falce e clessidra, simbolo dell’inesorabile scorrere del tempo.
Solitamente nei Paesi europei si tende a rappresentare la morte nei suoi aspetti più forti, come quello della decomposizione, della putrefazione e del decadimento del corpo, mentre in ambiente italico prevale una rappresentazione “pulita” della morte, immaginata come scheletro. Una particolarità che caratterizza tutta la storia dell’arte, fino ai giorni nostri.
Le tematiche affrontate dal prof. Terraroli nel corso della conferenza ripercorrono le classiche modalità di rappresentare il memento mori: la leggenda dell’incontro tra i tre vivi e i tre morti; il trionfo della morte; la danza macabra.
La leggenda dell’incontro tra i tre vivi e i tre morti narra la storia di tre cacciatori che incontrano tre morti viventi e parlanti, che rivelano: «Voi siete quello che noi eravamo e voi sarete quello che noi siamo». Uno straordinario esempio di questa raffigurazione si trova nel celebre affresco di Buffalmacco, nel cimitero Monumentale di Pisa.
Il tema del trionfo della morte, invece, è di ispirazione boccaccesca e viene di solito interpretato come una contrapposizione tra la Morte e i vivi appartenenti a tutti gli stati della società. Spesso vengono messi in evidenza i simboli del potere, temporale e spirituale, per sottolineare l’ineluttabilità della morte, che trascina con sé tutti, senza distinzione.
La Morte nella concezione cristiana diventa messaggera di Dio, quasi un’antitesi della Madonna della Misericordia: invece di scostare il mantello per benedire e abbracciare, porta sotto il manto fasci di frecce, il suo volto è cieco ed è sempre pronta a colpire.
L’affresco, realizzato da Giacomo Borlone de Buschis tra il 1484 e il 1485 sull'esterno dell'Oratorio dei disciplini di Clusone (BG), è un unicum nel suo genere: tutti e tre i temi sono presenti. La Morte viene aiutata da due assistenti, uno regge il tipico arco con frecce, l’altro un archibugio veneziano, rendendo tremendamente attuale l’opera. Ai loro piedi stanno tutte le cariche di potere civile e temporale dell’epoca: la Morte rovescerà anche loro, senza eccezioni. I mendicanti e i poveri, invece, invocano la Morte, ma forse, proprio per questo, lei non rivolge i suoi occhi su di loro.
Anche la contemporaneità ci offre immagini emblematiche e stravolgenti della morte: per esempio i camion militari di Bergamo durante la prima ondata del Covid. La morte torna a essere simbolicamente rappresentata come un fatto collettivo.
Il tema della danza macabra viene raffigurato come un ballo di cadaveri (o scheletri, in ambito italico) che incantano re e principi, vescovi e papi, mercanti e artigiani con il proprio strumento musicale. È una danza feroce in cui la Morte trionferà sempre. Il gioco degli scacchi e della dama, motivo di origine cinquecentesca, viene ripreso magistralmente da Bergman nel 1957 nel film “Il settimo sigillo”: tentativo disperato di vincere la Morte, senza tuttavia riuscirci.
Ma qual è l’opera che potrebbe impersonificare in modo tragico e potente il rapporto tra l’uomo moderno e la Morte? Guernica di Picasso, 1937. Nella sovrana distruzione della guerra, dove non è nemmeno più rispettata la plasticità della forma, brandelli di morti si mischiano ad altri morti, la disperazione sembra trionfare su tutto. Tuttavia, sulla sinistra del dipinto, è ancora chiaramente distinguibile un Toro che si alza e reagisce: simbolo della Spagna che non intende arrendersi, nemmeno dinnanzi al male assoluto.
Bibliografia:
- Cometa M. (a cura di), Il trionfo della Morte di Palermo. Un'allegoria della modernità, Quodlibet, Macerata 2017
- Frugoni C. e Facchinetti S.,Senza misericordia. Il "Trionfo della morte" e la "Danza macabra" a Clusone, Einaudi, Torino 2016
- Praz M.,La carne. la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1996
- Tenenti A.,Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento (Francia e Italia), Einaudi, Torino 1977