Paolo Bolpagni - Il sacro e le sue immagini nell’arte contemporanea
Relatore Paolo Bolpagni
Il campo d’indagine è ampio. Sembrerebbe difficile conciliare istanze che sembrano essersi tanto divaricate: come può parlare di religione e di trascendenza, nell’àmbito del Cristianesimo, un’arte che, in molte sue estrinsecazioni, a partire dai primi decenni del XX secolo, ha risolutamente abbandonato la figurazione e quindi l’iconografia?
Lo scopo di questa conversazione è ragionare sulla possibilità di rintracciare un dialogo fra alcuni approdi della sperimentazione contemporanea e il rapporto con il “sacro” cristiano, nelle sue varie accezioni.
Come scrisse Arturo Bodini, l’arte è un «linguaggio ineffabile, che rende in qualche modo sensibili le cose spirituali, e le cose sensibili in qualche modo spirituali». I linguaggi astrattisti possono quindi essere chiamati a pieno titolo a esprimere l’irrappresentabilità del divino anche in una religione propensa alle immagini qual è il Cristianesimo (che pure, all’inizio, fu aniconica, ed è stata attraversata da crisi iconoclaste). «L’Art c’est l’Inconnu», esclamava Jules Laforgue. E nell’“Ultima Mostra Futurista 0.10”, che si tenne nel 1915 a Pietrogrado, Kazimir Malevič installò la sua opera “Suprematismo della pittura” alla stessa maniera del “buon angolo” delle case ortodosse russe, ponendo al centro il famoso “Quadrato nero su fondo bianco”, che egli definì «icona del nostro tempo». Questo gesto non significava certo attribuire una funzione cultuale alla tela realizzata secondo il nuovo linguaggio astrattista-suprematista, ma proporre un’immagine essenziale, priva di elementi superflui, che si opponesse all’“effigie”, ma che fosse comunque in relazione con il divino (c’è da interrogarsi se cristiano), o che magari lo surrogasse. Era, forse inconsapevolmente, l’avvio di tutto un filone di pittura che nel corso del Novecento, mediante pure forme semplificate o geometriche, ha voluto rimandare alla prospettiva “altra” del trascendente e dell’ultraterreno attraverso un linguaggio che rifiuta l’imitazione del visibile in favore di un’allusività simbolica o aniconica, ma che talvolta, procedendo in tale direzione, si è probabilmente allontano dallo specimen del Cristianesimo.