GIORGIO BONACCORSO - Il sacro e il mistero nei riti religiosi
Relatore GIORGIO BONACCORSO
DAL CORPO AL RITO.
a) Il rito a livello di comportamento: tra autorganizzazione ed emergenza del corpo. Il rito è un modo con cui un organismo, ossia un corpo, si relazione con l’ambiente naturale e con l’ambiente sociale: il corpo si auto-organizza in modo rituale ricorrendo ad alcuni comportamenti funzionali (per es.: nutrirsi o ripararsi) e gestendoli in modo ripetitivo e stereotipato (per es.: modo di cacciare o costruire un nido); così facendo crea una situazione emergenziale, ossia diversa dai comportamenti di partenza e capace di influire su di loro.
b) Il rito a livello di esperienze emotive: dispositivo omeostatico del corpo. L’animale che esperimenta una qualche ambiguità comportamentale (per es.: essere impedito di raggiungere il cibo desiderato) entra in un stato emotivo conflittuale, a cui reagisce con azioni alternative definibili come rituali (per es.: muoversi su una linea perpendicolare rispetto a quella in direzione del cibo) che gli consente di superare il conflitto emotivo. Il rito ristabilisce l’equilibrio tra le azioni e le emozioni.
c) Il rito a livello di azioni comunicative: dispositivo sociale del corpo. L’animale spesso compie una sequenza di azioni per produrre qualcosa (per es. per costruire un nido su un albero). L’animale può compiere la stessa sequenza di azioni ma in modo ritualizzato, ossia: i) in un contesto diverso da quello originario (per es. sull’acqua): interruzione dell’uso più ovvio dell’azione; ii) intensificandola in modo da attirare l’attenzione di un altro animale (per es. il/la possibile partner): esagerazione dell’azione; iii) mostrandola diverse volte per stabilire un codice riconosciuto con l’altro animale (per es. per socializzare con il/la possibile partner): ripetizione dell’azione. In tal modo, il rito, tende a trasformare le azioni produttive in azioni comunicative e quindi a favorire quella socialità che agevola anche il rapporto con l’ambiente.
d) Il rito a livello di azioni meta comunicative: dispositivo ludico delcorpo. L’animale può realizzare un comportamento rituale più elaborato utilizzando le azioni comunicative non solo come segni per informare (comunicazione) ma come segni su cui operare (metacomunicazione). Si pensi all’attività ludica: l’atto di mordere per ferire è un segno di aggressività; si può utilizzare quel segno manipolandolo in modo da non mordere ma per giocare. Si tratta del livello più evoluto e complesso del processo di ritualizzazione: processo legato alla capacità di passare non solo dalla produzione alla comunicazione ma anche alla metacomunicazione.
DAL RITO AL SACRO
a) La memoria rituale: vita e morte. La memoria ristretta degli animali consente di affrontare le situazioni immediate della vita. L’uomo è caratterizzato dalla memoria estesa che raggiunge i confini della vita, ossia la nascita e la morte. Per dare senso alla nascita e soprattutto alla morte l’uomo ricorre ai miti con i quali collega la nascita e la morte a un qualche evento antico inteso come origine della vita e ai riti con i quali rende presente l’evento antico e la sua capacità di rigenerare continuamente la vita. Col mito e col rito si istituisce il sacro ossia la rappresentazione e la presentificazione dell’evento originario che è alla base della vita (cosmica, sociale, personale).
b) Il processo rituale: ordinario e straordinario. Una modalità della memoria rituale è riscontrabile nel processo rituale che qualifica fondamentalmente il rito come un passaggio: dalle azioni ordinarie della vita quotidiana, alle azioni straordinarie della prassi rituale, e poi di nuovo alla vita quotidiana. Il rito infatti è un’azione che essendo straordinaria apre alla trascendenza del sacro.
c) La struttura rituale: azione e simbolo. Un’altra modalità della memoria rituale è riscontrabile nella struttura rituale che si avvale dei diversi simboli religioni con i quali si rappresenta il sacro e li trascrive in azioni. Il rito infatti è un’azione simbolica ossia un simbolo che essendo in azione rende presente il sacro.
d) L’estetica rituale: sensibilità e trascendenza. Il sacro implica una realtà trascendente che sfugge alla sensibilità. Il rito gestisce il rapporto con tale realtà non costruendo una metafisica che abbandona la sensibilità, ma gestendo la realtà sensibile in modo liminale, ossia costruendo percorsi estetici che interrompono i percorsi ordinari rimandano a ciò che è oltre la sensibilità attraverso la sensibilità.
e) L’uomo rituale: esteriorità e interiorità. Nel rito il sacro non è identificato con una realtà interiore opposta alla realtà esteriore, dato che l’interiorità è legata a percorsi che coinvolgono l’esteriorità. Per il rito il sacro non si consuma nell’uomo interiore o nell’uomo esteriore ma nell’intreccio tra interiore ed esteriore.
f) La comunità rituale: io e altro. Nel rito il sacro non è identificato con l’interiore con la conseguenza che non viene relegato alla sfera puramente individuale, ma è dato grazie al coinvolgimento dell’esteriore e quindi implica la dimensione comunitaria. Per il rito il sacro non è soggettivo e neppure semplicemente oggettivo la composizione di entrambi entro un quadro intersoggettivo.
IL RITO NEL MONDO BIBLICO: ANTICO TESTAMENTO.
a) Il rito e la parola. La grande assemblea di Sichem (Gs 24) è caratterizzata dal percorso storia-culto-legge destinato a rappresentare una dinamica fondamentale che si ripresenta in tradizioni successive: i) ascolto della parola; ii) momento cultuale; iii) obbedienza alla legge. Un aspetto quanto mai rilevante è costituito dal fatto che tra l’ascolto e l’obbedienza è mediata dal rito.
b) Il rito e l’evento. Il centro della fede ebraica è costituito dal racconto dell’esodo. Il rito della pasqua ebraica, che deve conservare la memoria dell’esodo, è istituito durante l’esodo stesso (Es 12,1-14): non si può trascurare il fatto che il rito conserva la memoria degli eventi esodali perché ne è parte, ossia è parte integrante di ciò che costituisce l’identità religiosa del popolo ebraico.
IL RITO NEL MONDO BIBLICO: NUOVO TESTAMENTO.
a) Il battesimo di Gesù. «In quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (Mc 1,9-11parr). Il primo atto pubblico di Gesù non è la predicazione ma la partecipazione a un rito che coinvolge tutto il corpo e non solo la parola.
b) Il battesimo dei cristiani. «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). L’annuncio verbale deve essere coniugato con un’azione rituale che implica il coinvolgimento di tutto il corpo dell’uomo che si apre a Cristo: se la rivelazione si concentra sul corpo di Cristo, la fede nella rivelazione dee riguardare il corpo dei cristiani.
c) Il battesimo come inserimento dell’uomo in Cristo. «Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Il battesimo è l’inserimento dell’uomo in Cristo: la fede non è il semplice credere in Cristo ma l’essere e il vivere in Cristo. Per credere in Cristo basterebbe un atto della mente ma per essere e vivere in Cristo occorre un’azione che coinvolga tutto il corpo.
d) L’eucaristia nell’ultima cena. «Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”» (Mc 14,22-25parr). Al centro della fede cristiana sta la morte-risurrezione di Cristo ossia la vicenda del suo corpo: l’eucaristia è la memoria della pasqua di Gesù che si concentra sul suo corpo e che è stata istituita prima degli eventi pasquali contribuendo così a realizzarli e a comprenderne il senso più profondo.
e) L’eucaristia nell’annuncio della fede. «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,23-26). L’annuncio della pasqua che è a centro della fede si configura anche come eucaristia, ossia non solo con l’uso della bocca per parlare ma anche con l’uso della bocca per mangiare e bere.
f) L’eucaristia come inserimento di Cristo nell’uomo. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). L’eucaristia è l’inserimento di Cristo nell’uomo (e dell’uomo in Cristo): viene così confermata l’esigenza, già vista per il battesimo, di una fede che coinvolga tutto il corpo.
g) La riunione della comunità cristiana. «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Le riunioni della prima comunità cristiana sono scandite dall’insegnamento degli apostoli, dalla comunione e dalla frazione del pane. La valenza rituale consiste nel fatto che l’annuncio e la comunione non sono separabili dallo spezzare il pane.