Claudio Cuccia, Ottavio Di Stefano e Alberto Michele Giannini - Quando finisce la vita: la morte tra evento e decisione

Sabato 15 aprile vi aspettiamo alle 8.45 in Sala Convegni di Fondazione Poliambulanza, Via Bissolati 57, per la conferenza dal titolo “Quando finisce la vita: la morte tra evento e decisione”. Ottavio di Stefano, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Brescia, Alberto Michele Giannini, direttore S.C. di anestesia e rianimazione pediatrica dell’ospedale dei bambini ASST Spedali Civili di Brescia e Claudio Cuccia, responsabile dell'U.O. di Cardiologia di Fondazione Poliambulanza, affronteranno il tema della morte come evento ultimo della vita, tra difficoltà di scelta e accoglienza dei limiti con cui la medicina si confronta quotidianamente.

Quando finisce la vita: la morte tra evento e decisione
di Ottavio Di Stefano

Questa “meraviglia fra il nascere ed il morire” che tante volte ho visto spegnersi.

Ed è giusto porsi sempre la stessa immutabile, costante domanda nella clinica di tutti giorni.

La malattia ha un senso? Il prendersi cura può addirittura prescindere, ma “la vita senza senso” è l’espressione di un dolore non trattabile con le nostre evolute competenze tecniche.

Davanti alla morte questa questione invece è cruciale in una relazione di cura che sia di valore.

Seconda domanda. Mi sono abituato alla morte dopo 46 anni di “mestiere”. Certamente tante e tante volte gli aspetti tecnici della patologia, intesi come il meglio che posso fare per lui, come alleviare il dolore fisico, lasciano poco spazio al coinvolgimento emozionale. Per altro è il nostro lavoro e tutti abbiamo una vita fuori dall’ospedale. Ed è così.

Ma sullo sfondo quella prima, esiziale questione rimane e la devo considerare in ogni momento della cura.

È l’unico modo perché questa diventi davvero vicinanza e deve essere costitutiva della competenza o meglio ancora della formazione.

Decidere cosa fare di fronte all’evento.  Tutti siamo concordi sul rifuggire dall’accanimento.

Decidere, in base alla clinica, che le cure sono inutili o addirittura dolorose è una costatazione. Ma nella vita clinica di tutti i giorni non è sempre così semplice. Vale il vecchio assioma che ogni caso è un caso a sé.

E chi come me è nato professionalmente nel tempo “dell’agire medico incentrato su un approccio riduzionistico: malattia, terapia, guarigione” soffre di un retaggio di tradizione che limita, in qualche modo, l’indispensabile necessità dell’approccio attuale di sistema: persona, definizione dei problemi, qualità della vita.

Insomma «scegliere fra il fare e il non fare».

Il fare appaga, tranquillizza, ti rende quasi neutrale e in un certo qual modo distaccato dal vissuto drammatico di quel momento del tuo paziente. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva…. consolando i parenti.

Il non fare. Per molti di noi vecchi è ancora angosciante, i dubbi e gli interrogativi si susseguono.

C'era un mio vecchio maestro che mi diceva sempre “la diagnosi è difficile, ma la prognosi è una divinazione”.

E allora andavo a casa pensando “ho dato a lui o a lei tutte le possibilità” o semplicemente “dove ho sbagliato”.

Ed ancora i miei vecchi maestri mi dicevano: ritorna da lui, avvicinati, ascoltalo, visitalo ancora. Non avrai certezze, ma avrai fatto il tuo lavoro.

La relazione è tempo di cura, dice una legge recente. Per la prima volta è scritto. Deontologicamente era già un dovere.

Nella stessa legge si illustra il percorso condiviso di cura.  Condividere con lui, con i parenti e con tutti i professionisti, medici e no, il tratto di vita dei “giorni chiusi al futuro” certo non serve a lenire il distacco, forse non limita l’angoscia. Ma lui o lei sentiranno almeno la nostra vicinanza.

In questi anni abbiamo vissuto i drammi di chi se ne è andato da solo. Ed a volte l’unico momento di pietas è stato lo sguardo sopra la mascherina di un medico, di un infermiere, e questo vale, vale tanto.

Sta a noi tutti, indipendentemente da dove lui o lei muoiono, dedicare rispetto a questo che è sempre un momento della vita.

Quando finisce la vita: la morte tra evento e decisione
di Alberto Giannini

La natura stessa della medicina intensiva fa sì che medici e infermieri debbano affrontare decisioni cruciali circa la vita e la morte dei loro pazienti. Ancora più di altre discipline mediche, infatti, la Terapia Intensiva si confronta con il limite terapeutico: la nostra medicina contemporanea, per quanto sofisticata e “aggressiva”, spesso non è in grado di guarire i pazienti, di salvare loro la vita o anche solo di incidere in modo significativo sull’evoluzione della loro malattia. A questo proposito, un dato “grezzo” ma efficace per esprimere concretamente il limite in ambito rianimatorio è rappresentato dalla mortalità in Terapia Intensiva, che in Europa è intorno al 13%.

Utilizzando il termine “limite” credo che si possa far riferimento ad almeno tre differenti livelli di significato, che schematicamente possono essere così riassunti:

  • limite di ragionevolezza: conoscenze e azioni dell’uomo non sono in grado di soddisfare ogni e qualsiasi necessità o esigenza. E questo è vero in special modo nel campo della salute, contrariamente alle aspettative dell’opinione pubblica o a quanto è proposto in modo spesso fuorviante dai mass media;
  • limite di efficacia clinica: è certo un elemento che si modifica nel tempo (per l’evoluzione del bagaglio di conoscenze e la disponibilità di nuovi strumenti diagnostici e terapeutici), ma la mortalità in ambito intensivo benché sia comprimibile non è affatto annullabile;
  • limite di senso: esiste una dimensione etica dell’agire umano che ci deve condurre ad esplorare e giudicare il senso, la “bontà” e l’accettabilità morale delle scelte mediche.

Viviamo quindi una sorta di paradosso: mentre la medicina sembra offrire possibilità infinite, la pratica della medicina è invece governata da limiti, è non c’è area della medicina come quella intensiva che metta in evidenza questo paradosso.

Dati di un recente studio su scala mondiale indicano che in Terapia Intensiva la morte di un paziente è preceduta in circa l’80% dei casi dalla decisione di sospendere o limitare i supporti vitali.

Le scelte di fine vita rappresentano certamente uno degli aspetti più complessi e impegnativi nell’ambito della medicina intensiva. È di estrema importanza che l’utilizzo di uno strumento di diagnosi o di cura risponda a un criterio di proporzionalità. La decisione di limitare, sospendere o non iniziare trattamenti di supporto vitale giudicati sproporzionati rappresenta una scelta clinicamente ed eticamente corretta.

Caratteristiche dell'evento

Inizio evento Sabato 15 Aprile 2023 | 8:45
Luogo Sala Convegni Poliambulanza Brescia