Tavola rotonda su tecnologia e futuro dell'uomo

Tavola rotonda su tecnologia e futuro dell'uomo

Domani, mercoledì 30 maggio, alle 18 all’Università Cattolica del Sacro Cuore, in via Trieste 17, una tavola rotonda concluderà i lavori che quest’anno l'Accademia Cattolica ha
dedicato allo sviluppo tecnologico e al futuro dell’umano.

Entreranno in dialogo fra loro il filosofo Emanuele Severino, il teologo mons. Giacomo Canobbio, il neurobiologo Arnaldo Benini su un tema che in questi mesi è stato illustrato sotto diverse prospettive, dall’ingegneria informatica alle neuroscienze, dalla medicina alla psicologia, dall’economia all’ecologia, dalla giurisprudenza alla sociologia, dalla letteratura alla cultura contemporanea. Di fronte a un fenomeno così complesso è difficile una sintesi. Tutti a scuola abbiamo letto l’avvertimento profetico con cui Italo Svevo nel 1923 concludeva la Coscienza di Zeno: «L’occhialuto uomo inventa gli ordigni fuori del suo corpo… e diventa sempre più furbo e più debole». Proprio a causa di una recente invenzione, l’automobile, Svevo sarebbe morto cinque anni dopo per un incidente stradale. Dopo di lui molti hanno levato la loro voce contro la tecnica. Martin Heidegger nei «Quaderni neri» del 1939-1941 faceva risalire la catastrofe della seconda guerra mondiale con le sue aberrazioni ideologiche al predominio della tecnica e del fare, che chiamava dispregiativamente «Machenschaft». Nel frattempo i progressi hanno avuto un’accelerazione così travolgente da togliere all’uomo perfino la possibilità di fermarsi e di chiedersi dove stia andando. Eppure è la mitizzazione della tecnologia ad accecare. Canobbio propone di non demonizzarla, ma di vedervi il desiderio dell’infinito e dell’immortalità. C’è chi sogna di prolungare all’infinito la propria giovinezza. La tecnica non può donargliela. C’è qualche altra via d’uscita al desiderio umano che si proietta oltre la morte? Benini, al di là di ogni intelligenza artificiale, vuol richiamare alla natura umana e alla struttura del cervello. Qualcosa di stabile in questa perenne corsa o il frutto proprio di un’evoluzione sempre più rapida e meno controllabile? Severino dalla prospettiva dell’essere intende mostrare come la tecnologia sia non un fatto, ma un’idea, un’interpretazione dettata dalla volontà di potenza. Una volontà tragicamente illusoria? Come smascherarla? In base a quale codice ermeneutico demistificarla?