La burocrazia e il diritto negato
In Cattolica “Desiderio, legge, riconoscimento in Franz Kafka”
Mercoledì, 14 dicembre, alle ore 18, nella sede dell'Accademia cattolica, a Brescia, in via Gabriele Rosa, 30, il Prof. Gabrio Forti, ordinario di diritto penale e preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università cattolica, tratterà il tema: “Desiderio, legge, riconoscimento in Franz Kafka”.
Con straordinaria intensità lo scrittore praghese ha messo in luce il paradosso dell’uomo contemporaneo che ricerca dalla legge un riconoscimento e viene irretito in una trama inestricabile di procedure che lo puniscono prima che sia consapevole di una colpa commessa. Già nella prima pagina del “Castello” si presenta l’assurdo che dominerà tutto il romanzo. L’agrimensore K., giunto a tarda sera sotto una fitta neve a un villaggio di contadini, trova alloggio in una locanda e, al calore della stufa, si addormenta. Viene però svegliato di soprassalto da un giovane ben vestito che con modi cortesi, ma fermi gli contesta di pernottare in una proprietà del castello senza il permesso del conte. Non importa se è arrivato in un’ora in cui gli uffici erano chiusi e non si scorgeva neppure il castello, non importa nemmeno che egli dica di essere venuto perché chiamato a prestare i suoi servigi al conte. È già in una situazione illegittima e ogni tentativo per giustificarsi sarà rintuzzato quale atto di violenza, come sentenzierà alla fine di questo romanzo incompiuto il “signor segretario” accusandolo di cattiveria. Nei primi anni del Novecento Kafka non fu l’unico a denunciare il carattere impersonale e oppressivo della burocrazia. Basti pensare a Max Weber. In Kafka però la legge aveva un significato esistenziale così profondo che senza di essa l’uomo non poteva ritrovare se stesso. Nel “Processo” si racconta l’allegoria dell’uomo di campagna che si presenta alla porta della legge, convinto che essa sia accessibile a ognuno. Un guardiano però gli preclude l’ingresso poiché non ha il permesso. Egli allora ne fa richiesta, siede lì anni e anni avanzando al guardiano le sue suppliche e lamentele, cercando perfino di corromperlo. Alla fine, quando gli vengono meno le forze e gli sembra di intravvedere al di là una luce, riesce a sussurrare un’ultima domanda: perché in tanti anni nessuno tranne lui ha chiesto di entrare? La risposta del guardiano è sorprendente: “Questo ingresso era destinato solo a te. Ora vado a chiuderlo”. Kafka sperimentò l’impossibilità di ciò che sentiva assolutamente essenziale. Avrebbe desiderato il matrimonio come segno di una raggiunta maturità, ma al padre scriveva che esso gli era precluso perché rientrava nel dominio paterno, in quella solidità a lui estranea. Egli sentiva di rappresentare un’epoca, quella che tuttora viviamo e che è plasticamente espressa in una frase de “Il passeggero” messa in luce da Stefano Minelli in un fascicolo di Humanitas del 2000 dedicato a Kafka: “Mi trovo sulla piattaforma di una vettura tranviaria e mi sento profondamente incerto rispetto alla posizione che occupo in questo mondo, nella città, nella mia famiglia. Neanche incidentalmente saprei dire quali esigenze avanzare con ragione in un qualsiasi senso”. Il quarto incontro dell’Accademia cattolica si inserisce dunque nel programma di quest’anno dedicato a “Ethos, desiderio, legge” mostrando la crisi esistenziale del nostro tempo.