SE LA DIFESA DI SÉ È RINUNCIA AL FUTURO

Attaccameno alla propria terra o ricerca di nuovi orizzonti? È questo il dilemma di molti giovani laureati che alla fine decidono o di rimanere nell’ambiente che li ha visti crescere o di partire per l’estero in cerca di nuove opportunità. Il dilemma però è molto più radicale e riguarda ciascuno di noi, anzi ogni popolo. Come aprirsi al diverso senza perdere la propria identità, le proprie radici?

Se ne parlerà domani alle 9 nella sede dell’Accademia Cattolica, in via Gabriele Rosa 30 in città, nella tavola rotonda su «Identità e soggetto nella prospettiva di un futuro dell’umano». Interverranno il prof. Marco Ivaldo ordinario di Filosofia morale all’Università di Napoli, il prof. Giovanni Cesare Pagazzi della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e la dott. Ornella Parolini, direttrice del Centro di Ricerca della Clinica Poliambulanza di Brescia. L’Accademia Cattolica per tutto quest’anno si è occupata dell’argomento in molteplici prospettive: dalle letterature comparate, al cinema, dalla storia all’arte, dalla psicologia alla pedagogia, dalla medicina all’urbanistica. In un primo incontro Pietro Boitani ha illustrato la presenza nella nostra cultura di due immagini di Ulisse che ripropongono il dilemma: l’eroe omerico che rinuncia all’immortalità offertagli da Calipso per ritornare a Itaca e rimanere uomo, e quello dantesco che vede la propria differenza dai bruti nella sete insaziabile di esperienza anche a prezzo della vita. Due immagini emblematiche di una polarità che ci caratterizza come individui e come popoli. Da un lato ciascuno riceve alla nascita un patrimonio di lingua e tradizioni, un sistema di orientamento e quasi un’ancora di sicurezza e sensibilità, dall’altro lato ognuno si crea la propria personalità affrontando situazioni nuove ed entrando in relazione con la diversità anche pericolosa. Si diventa soggetti nella misura in cui ci si mette in gioco, si prende coscienza di sé, del patrimonio ricevuto e ci si apre all’altro. È quanto ribadì con forza il filosofo Fichte cresciuto in estrema povertà come guardiano di oche e diventato intellettuale di punta della nazione tedesca grazie alla sua forza di volontà. Egli continuò a ripetere che noi siamo frutto delle nostre scelte e della nostra creatività. Agli inizi dell’Ottocento si respirava un ottimismo che oggi è difficile trovare. Come è stato spiegato nei vari incontri di quest’anno, gli individui e i popoli sentono minacciata la loro identità dai modelli tecnologici, dai poteri sovranazionali, dalle ideologie di violenza. Tuttavia una semplice difesa di sé equivarrebbe a rinunciare alla propria creatività, alla propria soggettività, al proprio futuro. Illuminanti prospettive ci verranno da una scienziata, da un teologo e da un filosofo, fra l’altro esperto di Fichte.

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