L'epica moderna e l'ossessione social di lasciare una traccia

Dopo la figura di Ulisse, il ciclo di conferenze in cui si snoda l' attività di ricerca dell' Accademia cattolica di Brescia si sofferma su «Identità e soggetto tra cinema e letteratura» (oggi in Università Cattolica, ore 17, Sala della Gloria), con il dialogo tra Giuseppe Lupo e Ruggero Eugeni. Entrambi docenti in Cattolica, il primo di Letteratura italiana il secondo di Semiotica dei media, hanno proprio in questi giorni pubblicato Lupo il suo ultimo romanzo (L'albero di stanze, Marsilio), Eugeni il saggio La condizione postmediale (Editrice La Scuola).

Una coincidenza che, per il contenuto dei testi, offre spunti di riflessione. Andando contro la vulgata, secondo la quale con l'età post-moderna la crisi dell'identità significhi il venire meno della capacità narrativa dei soggetti, Eugeni mostra come in film (Star wars, Il signore degli Anelli, Harry Potter) e in romanzi contemporanei (per esempio Cent'anni di solitudine), a ritornare sia l'epica.

Un narrare epico che, se non mette capo, come nell'epica classica, a una totalità chiusa, serve per dare un significato alla polverizzazione della vita degli individui. I romanzi contemporanei, per Io più non finiscono in un matrimonio, ma partono da un divorzio: metafora del divorzio dalla vita. Un'epica di compensazione, potremmo definirla. Le stesse storie autonarrate sui social sono il segno di un'assenza da compensare in un narrare infinito. Fino al parossismo.

Resta la domanda: l'epica oggi riesce a dare un barlume di autenticità a coloro che si raccontano? O l' autenticità sta nello stesso bisogno di raccontare? Come se, nel tempo dell'accelerazione alienante dei tempi di vita, il «raccontare raccontandosi» avesse la funzione di porre un freno, donando un senso, a esistenze altrimenti destinate a perdersi in un infinito futuro, che annichila ogni attimo presente.

La narrativa di Lupo, in pardcolar modo in questa sua ultima produzione, non è un esempio di epicità prosaica? La storia della famiglia di cui narra l'epos è tutt'altro che nostalgico: nella leggendaria Lucania - trasposizione della nativa Lucania - ogni personaggio ha qualcosa di epifanico, fin dai nome: Adamantina; Lucente, Babele, Primizia, Redentore, Yossuf. Nomi in cui si riflette quasi un'eco biblica. Proprio perché epico è il genere di alcuni libri biblici. Un'epica divenuta secolare: della totalità con chiusa di cui vive la speranza dei personaggi biblici qui resta la speranza storpiata in una muta rassegnazione. Quasi a dire: l'identità dei soggetti, nel tempo dell'annichilimento dell'esperienza, è fatta innanzi tutto di tracce mnestiche. Lacerti di memoria cui aggrapparsi, al cinema o nell'ozio della lettura, in un mondo il cui l'esperienza del naufragio è diventata, insieme, dramma dell'epoca e, più prosaicamente, possibilità di fallimento esistenziale.