Cristianesimo e Islam, l' incontro possibile

Cristianesimo e Islam, l' incontro possibile

Canobbio: «Per incontrarsi serve la disponibilità ad ascoltare l'altro» Sbai: «Occorre il coraggio di saper correggere la propria rotta»

Un'opportunità di approfondimento su uno dei temi che dominano il nostro presente, per esempio quello che a Cristianesimo e Islam chiede di andare oltre il dialogo interreligioso, meritava uno spazio meno angusto di quello offerto dalla sala conferenze dell'Archivio diocesano e una platea ben più vasta della solita, che sistematicamente si dedica all'approfondimento e alla ricerca di modi con cui eliminare le distanze. Ciò, ovviamente, nulla toglie al valore della proposta che l'Accademia Cattolica di Brescia ha fatto ieri alla città.

Monsignor Giacomo Canobbio, direttore scientifico dell'Accademia, ha spiegato che «per andare oltre il dialogo tra Cristianesimo e Islam è necessario essere pronti ad ascoltare e disposti ad aprire il cuore e la mente agli altri». In sostanza, si tratta di ammettere l'esistenza di due mondi distanti e di due modi diversi di pregare, di pensare e di agire, non per marcare le diversità ma per appianare la strada che porta alla comprensione e all'incontro. «Ogni volta che noi ci incontriamo - scrisse Paolo VI rivolgendosi, nel 1972, alle comunità islamiche - possiamo constatare con lieto stupore quanto siamo vicini e quanto abbiamo in comune, perché noi condividiamo la fede nello stesso Dio».

Dentro il convegno voci diverse, ma tutte orientate a ricercare le ragioni dell'incontro e del camminare insieme. Adone Brandalise, dell'Università di Padova, vestendo i panni del moderatore, ha disegnato gli scenari in cui si muovono speranze e impegni, ha parlato di un mondo «che esplodendo nelle sue contraddizioni e nelle sue paure è andato al di là di tutto ciò che l'ha tenuto unito», di religioni che «hanno impedito il totale spegnimento del mondo», della necessità di andare «noi cristiani e noi musulmani, dritti al riconoscimento reciproco» e del dovere di fare un'esperienza religiosa «in casa altrui».

Paolo Branca, dell'Università Cattolica di Milano, primo relatore, sottolineata la varietà e la complessità del pensiero islamico, ha invitato ad andare oltre i soliti stereotipi «per capire e capirsi», magari dimenticando il termine «dialogo», così abusato e rivestito di retorica, sostituendolo con «esperienze, conoscenze e condivisioni concrete.». Se si vuole andare oltre il dialogo interreligioso, ha spiegato il professore, è necessario «condividere chi siamo e dove andiamo, perché solo così è possibile andare oltre».

Fratel Guido Dotti, monaco della. Comunità di Bose, ha insistito sulla necessità di aggiungere al dialogo «lezioni di vita, testimonianze concrete, esempi a cui riferirsi».

Vittorio Berti, del Fscire di Bologna, ha invece aiutato a comprendere origini e storia mettendo le parole dei profeti a confronto, confrontando passato e presente, coniugando Vangelo e Corano, «in modo da poter cercare unità piuttosto che utilità, certezze al posto di presunte verità», cancellando luoghi comuni, come quello che sancisce l'impossibilità nel mondo islamico di ristrutturare o costruire chiese mentre la storia testimonia il contrario.

YOUSSff SBAI, vicepresidente dell'Unione delle Comunità islamiche italiane e responsabile del dialogo e della formazione, guardando a ciò che succede nel mondo, ha proposto «ripensamenti urgenti del modo di procedere, più attenzione al religioso piuttosto che alla geopolitica, il coraggio di guardare dove stiamo andando, magari per rivedere convinzioni e correggere la rotta, di conoscerci meglio, perché solo così sarà possibile andare ol-tre...».

Moulay Zidane ElArnrani, Segretario generale della Confederazione islamica italiana, che ha studiato alla scuola delle suore, infine, ha riproposto le parole pronunciate da Giovanni Paolo II in Marocco - «non cercate le culture, ma le persone» - ricordando che «le prime costruiscono muri, le seconde ponti». Poi, con evidente emozione, ha parlato di Charles De Foucaud e di Louis Mosignon, invitando all'incontro tra persone, ma «nella vita normale piuttosto che in tempi preconfezionati».Per meglio comprendersi, basterebbe cominciare da qui.

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