Responsabilità nella Chiesa

Nel medioevo, quando il senso dell’unità era piuttosto rimarcato, si citava spesso anche in ambito ecclesiale un principio mutuato dal diritto romano: ciò che riguarda tutti deve essere preso in considerazione da tutti. Molte volte il principio era fatto valere per rifiutare di pagare imposte decise da vescovi o da papi. Ma entrava anche nell’organizzazione della vita monastica e in generale della vita della Chiesa.

L’imporsi del primato pontificio se, da una parte, permise di salvaguardare l’indipendenza della Chiesa rispetto alle ingerenze imperiali, dall’altra portò a ritenere responsabili della vita ecclesiale soltanto coloro che detenevano il potere (potestas). Essere responsabili e avere autorità coincisero. L’esito fu un modello di Chiesa clericale. Il concilio Vaticano II, preparato dalla riflessione teologica sui laici e dalle esperienze associative laicali, prospettò una visione differente di Chiesa: senza negare il ruolo dell’autorità, affermò che tutti i fedeli hanno uguale dignità, benché svolgano funzioni diverse nell’attuazione della missione della Chiesa; di questa tutti sono partecipi. E ciò non perché un’autorità deleghi qualche ‘potere’, bensì perché in forza del battesimo e della cresima tutti i fedeli ricevono dal Signore il compito di contribuire alla edificazione della comunità cristiana e alla missione della stessa. Quindi tutti sono responsabili, che è quanto dire: tutti devono rendere conto al Signore (responsabilità porta in sé anche l’idea di dover rispondere a qualcuno) del modo in cui realizzano la vocazione ricevuta. A cinquant’anni dal Concilio ci si potrebbe domandare se questa visione sia passata nelle coscienze e nelle pratiche dei fedeli. Non è difficile sostenere che molto resta da fare: permane un visione clericale della Chiesa. E non solo per colpa dei pastori (i presbiteri e i vescovi), ma pure per colpa di tutti gli altri fedeli.

Le ragioni sembrano due. La prima: una comprensione del sacramento dell’ordine che fa pensare gli ordinati a un livello superiore nella comunità, anziché a servizio della comunità. Il modello delle autorità civili, che Gesù dice che non si dovrebbero imitare (cfr. Mc 10,42-45), resta – lo si voglia o no – ancora il modello di riferimento per l’autorità ecclesiastica. La seconda: i fedeli in generale continuano a pensare che la responsabilità tocchi ai preti e ai vescovi. Accanto a mancata consapevolezza dell’insegnamento conciliare, si coglie una forma di delega - simile a quella che si riscontra nell’ambito sociale e politico - che nasconde la ritrosia a sentirsi responsabili di ciò che riguarda tutti. Ma la Chiesa non potrebbe diventare il luogo nel quale, grazie alla riscoperta della uguale dignità di tutti, si impara a diventare protagonisti della cosa comune?