Il pluralismo dei cattolici

Il pluralismo dei cattolici

«La vita sociale è fatta anche di giochi di potere e non si può esser schizzinosi a tal punto da pensare che con il potere i cattolici non si dovrebbero misurare o che nella ricerca del potere i cattolici siano più puri di altri»

Chi guardi Brescia dall'alto è colpito dallo scoprire una molteplicità di campanili, l'uno a poche decine o centinaia di metri dall'altro. È una visione cui si è abituati senza domandarsi perché nel passato si sia avvertita la necessità di costruire luoghi di culto addossati l'uno all'altro. L'osservatore attento non fatica a stabilire un raffronto tra ciò che sta all'origine dell'immagine urbanistica notata e la situazione del cattolicesimo bresciano attuale. Quelle chiese sono espressione di una ricchezza di presenze religiose, di confraternite, di gruppi sociali. Ricchezza non voleva però dire armonia: le contrapposizioni erano a volte aspre, quasi una sfida reciproca.

Di quelle contrapposizioni noi oggi cogliamo gli esiti artistici perché esse sono scomparse. Nel frattempo ne sono nate di nuove, meno aspre, ma non meno evidenti. Delinearne i contenuti è arduo, quasi impossibile, benché il desiderio di catalogazione affiori qua e là. Di fronte a esse ci si potrebbe chiedere se siano legittime, se non dovrebbero essere superate, se non sarebbe meglio che tra i cattolici ci fosse maggiore coordinamento, se non unità. Legittima la richiesta, ma pare dimentichi che l'identità cattolica non coincide con omogeneità di giudizio culturale, politico, economico. Se così fosse vorrebbe dire che non ci sarebbe posto per la libertà di valutazione, nella quale si evidenziano sensibilità, visioni, interessi diversi, e a volte anche ricerca di potere.

Nessuna meraviglia in rapporto a quest'ultimo aspetto: la vita sociale è fatta anche di giochi di potere e non si può esser schizzinosi a tal punto da pensare che con il potere i cattolici non si dovrebbero misurare o che nella ricerca del potere i cattolici siano più puri di altri. La meraviglia potrebbe però nascere di fronte alla fatica che sperimentano a confrontarsi tra loro i diversi gruppi che si propongono in pubblico come cattolici. Ci sono alcuni tentativi ben riusciti: si pensi all'esperienza dei convegni interassociativi che da alcuni anni si tengono all'inizio d'autunno; luoghi di libero dibattito, di comune ricerca di strategie per una presenza significativa dei cattolici nella società bresciana. Ma si ha la percezione che siano poco incisivi. Di fatto la ricchezza che ogni gruppo porta in sé resta come una riserva, il dialogo non trova luoghi adeguati. A partire dal Convegno di Palermo (1995) era entrata nel linguaggio dei cattolici italiani l'espressione «discernimento comunitario». Con essa si voleva indicare l'impegno delle diverse anime del cattolicesimo italiano a trovare luoghi nei quali confrontarsi con libertà. Come succede a molte espressioni, anche «discernimento comunitario» è diventata slogan e non ha trovato corrispondenza in effettive pratiche. Neppure a Brescia. Cercare colpevoli non porta molto lontano.

Forse si potrebbe chiedere a ogni gruppo di dichiarare quale sia l'obiettivo che si prefigge in verità, su quali presupposti si fondi la propria strategia, che disponibilità abbia a confrontarsi con altri senza paura di perdere primogeniture o piccoli poteri. Tale disponibilità potrebbe diventare anche occasione per verificare se l'aggettivo «cattolico» si attagli effettivamente al proprio gruppo. La paura a un confronto aperto o la pretesa di essere gli unici custodi della tradizione cattolica tutto sono fuorché «cattolici».

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